Assoluzione compagni, al Clot e dappertutto!
Il 5 giugno 2013 inizia il primo processo per i fatti accaduti a Barcellona durante lo sciopero generale del 29 marzo 2012. Quel giorno vi furono più di cinquanta arresti. Le detenzioni si sono poi susseguite fino al settembre 2012: si è arrivati a più di cento arresti in tutta la Catalogna. Per ora, le richieste di condanna da parte del Pubblico Ministero sono dure e sia il governo della Comunità Autonoma (la Generalitat) sia il Comune di Barcellona stanno partecipando al processo costituendosi come parte civile. Per tre persone che vivono nel quartiere Clot di Barcellona il PM richiede una pena di sette anni di reclusione. Il capo d’imputazione consiste in rovesciare alcuni cassonetti della spazzatura, cosa che si traduce in linguaggio “officiale” in: disordini pubblici, danni e crimini contro la sicurezza della via pubblica.
Il 29 marzo 2012 siamo state tante le persone che siamo scese in piazza, nei nostri quartieri e nei nostri paesi. L’abbiamo fatto perchè in quel momento eravamo decise a far fronte a una riforma del lavoro che precarizza ancora di più le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici. Eravamo decise a far fronte anche alla continua persecuzione cui siamo sottoposte, che ha lo scopo di privatizzare ogni ambito delle nostre vite. Eravamo decise a posizionarci contro quei signori responsabili di tutto questo. Scendendo in piazza tutte insieme abbiamo dimostrato che non accettiamo che questi stessi signori ci rendano colpevoli di quella che loro chiamano crisi. Crisi è la parola che loro utilizzano per definire ciò che in realtà consiste semplicemente in un passo in più per riformulare e dare una nuova struttura al capitalismo. Fino ad ora abbiamo pagato i danni di questi signori, che ci guardano dall’alto e che vedono in noi nient’altro che numeri. Ma solo fino ad ora…
Nel Clot, come in altri quartieri, quel 29 marzo, all’alba, sono state arrestate tre persone. Il giudice ha deciso di rilasciare due di loro, con imputazioni a carico, e per la terza ha ordinato misure cautelari utilizzando un ipotetico allarme di pericolosità sociale. È stata una delle sei persone che hanno passato da tre a cinque settimane in carcere. Con la stessa leggerezza con cui le hanno imprigionate, le hanno poi rilasciate in attesa del processo. Nel caso di quattro di loro, hanno messo in pratica ciò che volevano fare con tutte noi: il giudice ha vietato loro di partecipare a manifestazioni o concentramenti di protesta in luogo pubblico, come misure cautelari.
Le misure repressive alla base di questo sciopero generale si sono concretizzate in un lento susseguirsi di arresti, e persino in diverse irruzioni nei domicili privati, giusto per ricordarci che hanno intenzione di controllare qualsiasi nostro tentativo di alzare la voce. Per quel che riguarda i feriti per l’azione delle forze di polizia, ve ne sono stati alcuni molto gravi, come per esempio un ragazzo che ha perso la vista di un occhio (fatto che si è poi ripetuto durante lo sciopero del 14 novembre 2012, ad una donna di nome Ester Quintana).
Fortunatamente, l’iniziativa (portata avanti dal Dipartimento dell’ Interno) di incentivare le delazioni dei cittadini con un sito web di foto segnaletiche non ha avuto molto successo. Mesi dopo, il Dipartimento stesso ha dovuto revocare l’iniziativa perchè era illegale. Il fatto che non rispettino neanche il loro proprio sistema legislativo non ci deve stupire. Ma il fatto di conoscere il loro modus operandi non significa nè che lo normalizziamo nè che lo accettiamo.
La repressione è il meccanismo che utilizzano per infondere la paura e la disillusione nelle nostre vite. È il tentantivo di isolarci e di paralizzarci dentro la nostra attività politica, che portiamo avanti quotidianamente e con determinazione. Tutto sembra essere valido. Ci ridono in faccia mentre utilizzano metodi legali ed illegali con totale impunità e con la connivenza di politici e mass media. Insomma, utilizzano il sistema legale che protegge quei signori potenti, effettuano schedature di polizia illegali che utilizzano per controllare le nostre attività, fanno in modo che si portino avanti aggressioni sistematiche da parte delle forze di polizia nei commissariati, o nelle strade e nelle piazze. Il semplice fatto di scendere in piazza può diventare causa di arresto: è un dato di fatto e sta succedendo davvero. Peraltro questa doppia unità di misura è cosi sfacciata che ci ritroviamo in una situazione per cui ci possono mettere in carcere per sette anni solo per aver mosso quattro cassonetti, e non importa se questo sia vero o no. Dall’altra parte troviamo una lunga lista di personaggi d’alto lignaggio con totale libertà per fare e disfare tutto come vogliono senza che gli succeda assolutamente nulla, e con una giustizia fatta su misura per loro. Non rispettano neanche le loro proprie leggi, ma in questo caso non ci sono conseguenze.
Per noi è chiaro, ci troviamo davanti alla criminalizzazione di persone che non possono difendersi o pagare, ad una criminalizzazione della povertà e delle persone che decidono di mettere in discussione l’attuale modello d’organizzazione della nostra società: il modello capitalista.
La loro strategia per continuare ad ingannarci è semplice: si tratta di creare parti contrapposte fra persone oppresse, criminalizzare per distinguere fra buoni e cattivi, fra violenti e pacifici, fra innocenti e colpevoli. Vogliono sviare l’attenzione per poter nascondere le loro evidenti, grandi truffe e farci credere che non siamo capaci di decidere autonomamente; vogliono addirittura instillarci la convinzione che nulla di ciò che potremmo fare servirà a qualcosa. Vogliono insomma utilizzare i molteplici metodi repressivi a loro disposizione per portarci alla disillusione.
La cosa che questi signori non sanno è che, proprio nel momento in cui ci opponiamo a tutte queste diverse forme di repressione, noi continuiamo a tessere legami sempre più forti. Il 29 marzo 2012 non ci hanno ferito in modo isolato, e proprio per questo ora noi non risponderemo in modo isolato. Perchè vogliamo fare della solidarietà la nostra arma migliore, perchè abbiamo deciso di smettere di stare da sole, perchè abbiamo deciso di vincere la paura insieme. Perchè incontrarci e stare insieme è già un modo di vincere.
La libertà di tutte le persone imputate è la nostra libertà.
La lotta è di tutte.